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Solitude: A return to the Self

 
Anthony Storr (1920-2001) è stato uno psichiatra, psicoanalista e scrittore inglese.
In questo testo si affronta la psicologia della solitudine e la sua connessione con la creatività.
Non viene data enfasi alla solitudine come un fenomeno storico o culturale, ma solo psicologico (anche se può essere indotto da condizioni di natura medica o storico-politica, dalla prigione o dalla tortura).
Nel testo Storr propone numerosi esempi della letteratura del passato e del presente, indicando la solitudine come necessaria al processo creativo e all’autorealizzazione, nonché alla conoscenza di Sé.
Egli sottolinea che molti dei più grandi pensatori del mondo non hanno avuto famiglie e non hanno stretto legami personali duraturi.
Questo era dovuto alla tendenza alla solitudine nel processo creativo.
Storr costruisce un’analisi della psicologia del sé, scomponendo le componenti dell’infanzia e della fanciullezza (rigetta molte delle teorie freudiane), le caratteristiche dei temperamenti e delle personalità, e le tendenze alla solitudine che sono presenti nella personalità creativa.
Il concetto di solitudine è visto da Storr come la “capacità di essere soli”, tanto da ritenere che le esperienze psicologiche più profonde e curative degli individui  non siano correlate all’interazione con altri esseri umani.
Secondo Storr la psicologia moderna idealizza le relazioni umane al punto da fuorviare le persone.
Infatti per l’autore non sussiste l’idea che le relazioni umane siano la “pietra di paragone della salute e della felicità”.
Un ruolo molto importante secondo  Storr è quello occupato dall’immaginazione nel processo creativo che avviene nella solitudine: la capacità di essere soli è “legata alla scoperta di sé e all’autorealizzazione; con la presa di coscienza dei propri bisogni, sentimenti e impulsi più profondi.
La solitudine permette all’individuo di entrare in contatto con i sentimenti più profondi e con l’immaginazione che è un aspetto fondamentale dell’uomo poiché esprime flessibilità, ma deruba della soddisfazione (inteso come meccanismo organico).
Se il mondo propone una realizzazione fatta di relazioni sociali, la solitudine propone quel sentimento oceanico( tutt’uno con l’universo) dove gli sforzi  altamente creativi o profondamente religiosi raggiungono i loro obbiettivi nascosti.
Storr affronta anche il temperamento della solitudine indicando l’influenza dell’ estroversione e dell’ introversione su di essa. Quindi la solitudine esiste in diverse modalità.
Nella parte finale del testo Storr si chiede se il compito nella vita dell’uomo sia unicamente quello di riprodursi, perché l’uomo debba vivere così a lungo sulla terra.
Quindi ritorna a quei sentimenti di estasi e di unione con l’universo che William James chiamava “stati mistici” e li collega al processo di individuazione junghiano.
Questi vengono risolti per mezzo di un cambiamento interiore che avviene sempre ed unicamente per un processo solitario.
In ogni caso, tra i molti letterati, poeti e musicisti è il processo interno spinto dall’immaginazione che fa della solitudine un canale privilegiato di ritorno a sé stessi, di ritorno al Sé.

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